Sono sempre io; Jojo Moyes

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Recensione: Sono sempre io; Jojo Moyes

Casa Editrice: Mondadori
Anno di Pubblicazione: 2018
Genere: narrativa, romanzo rosa
Numero di pagine:  440
Dove trovarlo:  Amazon, Feltrinelli

Sono sempre io è il terzo libro di Jojo Moyes che ha come protagonista Louisa Clark.

Il primo libro di quella che si spera resti una trilogia è Io prima di te, pubblicato nel 2012 e trasportato al cinema nel 2016. Il secondo, dal titolo Dopo di te, invece è stato pubblicato, purtroppo, nel 2015.

Trama

Louisa Clark, dopo aver combattuto per superare il lutto dovuto alla morte di Will Traynor, accetta un lavoro a New York presso una famiglia per cui lavorava anche Nathan, il suo vecchio collega e amico.

Inizia una vita piena di novità a cui Louisa non vuole dire di no, come le aveva insegnato Will, e decide di godersi a pieno la nuova città.

Il lavoro consiste nell’assistere una donna, Agnes Gopnik, che soffre di una leggera depressione. Louisa la segue in ogni suo passo, organizzandole la giornata e aiutandola ad affrontare i vari eventi mondani a cui a cui la donna deve partecipare.

Sembra andare tutto per il meglio, ma Agnes nasconde dei segreti, Louisa si trova a scoprirli. Viene incolpata di frode da Mr Gopnik, non può giustificarsi, altrimenti violerebbe le indicazioni di Agnes e per questo viene licenziata ritrovandosi senza lavoro e senza un tetto, ancora una volta a partire da zero.

Commenti e critiche

Ho talmente tanti punti di cui lamentarmi che non so da dove partire.

Dopo la storia di Will Traynor e dopo un inutile sequela di stupidaggini che si potevano evitare, durante il corso di Dopo di Te, ci troviamo in un altro libro in cui si susseguono una serie di cavolate che ancora una volta si potevano evitare.

Oltre al fatto che la storia è priva di significato perché di fatto, ancora una volta, non si aggiunge praticamente niente e ci ritroviamo per la terza volta ad accompagnare Louisa nello stesso, identico percorso di Io prima di te, la trama non è nemmeno ben curata.

Troviamo situazioni assurde che non sono nemmeno vicine al realismo che ci si aspetta di trovare in un romanzo di questo tipo.

Ci troviamo a dover leggere pagine e pagine in cui Louisa crea delle liste mentali: elenca almeno tre volte tutte le piccole azioni che fa per non pensare al suo ex fidanzato, per esempio.

Oppure ogni volta che mette il naso fuori casa ci deve dire tutto quello che vede. Sul serio, proprio tutto.

Non troviamo niente del genere negli altri due libri, quindi non mi credo sia una caratteristica dell’autrice. Mi è sembrato piuttosto che tutto questo sia solamente un modo per allungare una storia che di fatto non ha niente di interessante.

Non è riuscita a creare niente di nuovo.

Troviamo personaggi che sono lo specchio esatto di altri già visti nei capitolo precedenti. La figlia di Mr Gopnik, nonostante abbia venticinque anni, non sedici, si comporta in maniera infantile ed è palesemente in cerca di attenzioni. Esattamente come faceva Lily, il cui background, però la giustificava e la rendeva plausivile.

Per chi, per sua fortuna, se lo sia perso, Lily è la figlia di Will che lui non ha mai conosciuto.


Si parla di depressione, che ricordo a tutti è una vera malattia con segni e sintomi clinici da diagnosticare.

Se ne parla quando, per prima cosa, Agnes non sembra nemmeno andare da un terapeuta o psichiatra, quindi non so bene chi gliel’abbia diagnosticata e non si sa come prende pure dei farmaci, prescritti sempre da non si sa da chi.

Non è possibile che Louisa non sappia dei suoi appuntamenti perché la sua agenda la gestisce lei, quindi semplicemente lei non va in terapia e già da solo questo esclude la possibilità sia di diagnosi che di cura farmacologica.

Potrebbe avere i sintomi, ma se non vai da qualcuno che può identificarli, non puoi sapere cosa tu abbia, visto che non è così semplice essere sicuri di cosa si abbia e tanto meno puoi curarti, ovviamente.

Ma tanto lei non mostra nemmeno i sintomi necessari perché si possa parlare di depressione.

Agnes fa tutto quello che c’è scritto nella sua agenda, va a correre, a lezione di piano, shopping, partecipa agli eventi, certo con malumore, ma ce la fa.

Ogni tanto è triste, ma con una motivazione molto più che valida, che si scopre in seguito.

Sta chiusa in camera per parecchie ore, ma poi veniamo a sapere che non era lì a piangersi addosso, ma stava facendo qualcosa…

Effettivamente non è tra le persone più felici, ha dei problemi, ma parlare di un disturbo mentale giusto per mettere un po’ di pepe e dare una motivazione per il fatto che Louisa stia lì, mi sembra esagerato e offensivo per tutte le persone che davvero soffrono.

In più Louisa non ha né le competenze per aiutare una persona con depressione e tanto meno durante il romanzo fa qualcosa di davvero utile.

Di fatto l’accompagna in macchina di qui e di là, ma poi aspetta nell’auto, a parte una volta. Non va con lei per farle da spalla in quelle situazioni che in teoria la mettevano in difficoltà.

Che senso ha? È stata assunta per darle supporto, da amica e poi nelle situazioni stressanti aspetta in macchina?

Le serviva giusto un’assistente che le gestisse gli appuntamenti, bene. Falla assumere in questo ruolo, non serviva tirare in mezzo un vero problema di salute!

Assurdo…


All’inizio di molti capitoli vengono inserite delle mail che Louisa riceve o manda ai suoi familiari. Ancora una volta, mi sono sembrati pretesti giusto per allungare il libro.

Non ci danno moltissime informazioni sugli altri personaggi, giusto qualche dato, per ricordarci che esistono.

Il punto è che quando inizia la narrazione di Louisa dopo la mail, questa non sembra avere niente a che fare con quello che sta accadendo, oppure viene tirata in ballo alcune pagine dopo, quando ormai ti è già passata di mente.

Sarebbe potuta essere inserita nel punto in cui Louisa ne parla. Buttarla lì all’inizio del capitolo spesso serve solo a spezzare il ritmo della narrazione.

Come ho detto le mail servono solo a ricordarci che Louisa non è sola al mondo. Qui, al contrario che in Dopo di te, i personaggi secondari sono trattati veramente in maniera becera, come se anche all’autrice non fregasse una mazza di loro, ma che non potesse ignorarli.

Hanno perso completamente il loro spessore e sono soltanto mezzi attraverso cui la protagonista si fa gli affari propri. Sono letteralmente usati solo come spunto di riflessione per Louisa sulla propria esistenza.

E le riflessioni, ancora una volta, sono pagine di frasi noiose e in cui ripetono sempre le stesse cose dall’inizio alla fine.


Ad un certo punto, circa a metà del libro, Louisa sfonda la quarta parete e inizia a parlare direttamente col lettore, quando non lo aveva mai fatto prima.

Giuro, mi ha fatto scendere un brivido lungo la schiena per quanto mi abbia dato fastidio.

Fino a quel momento non sembrava stesse raccontando a noi la sua storia, già successa, ma che la stesse, appunto, vivendo in prima persona.

È un cambiamento troppo grande nello stile, soprattutto perché si è già molto addentrati nella trama ed è preceduto da altri due libri in cui non era mai successo.

Fossero state delle riflessioni interessanti, ci poteva anche stare (circa, giusto per addolcire la pillola). Invece no, ci sorbiamo pure dei commenti insulsi o degli improperi a caso.


L’autrice vuole darci degli indizi per portarci su una falsa pista che appunto in un “colpo di scena” si scopre sbagliata.

Come un enorme urlo contro il lettore: “Vedi, ti sei fatto trascinare dai pregiudizi contro le straniere, cercatrici di dote (Mrs Gopnik è polacca), ma è sbagliato”

Peccato che questi indizi, alla luce della vicenda per intero e quindi di quello che accade realmente, non hanno un senso.

Adesso scendo nei dettagli e farò spoiler, scorrete fino al prossimo sottotitelo se non volete leggere.

In pratica, Agnes conosce un pittore e dice che vuole prendere lezioni private di disegno.

Dal suo comportamento molto misterioso, dal fatto che spegne il cellulare, voglia stare da sola e che dice di non farne parola col marito, tutti (tranne Louisa) pensiamo che lo stia tradendo.

Nel frattempo sta anche comprando molti oggetti costosi da mandare in Polonia, sempre alle spalle del marito. Avevo pensato, quindi che volesse “fare bottino” e poi tornarsene a vivere nel suo paese d’origine.

Louisa trova un test di gravidanza nel pattume del suo bagno (con due righette blu, ditemi voi che cosa significa, io pensavo positivo). Quando chiede ad Agnes se fosse suo, lei le spiega che se lo avesse buttato nel suo bidone, la governante lo avrebbe trovato e suo marito lo avrebbe scoperto.

Bene, in un pranzo poco tempo dopo, in una scena (che non ha senso di esistere, ma insomma alcune informazioni ce le deve dare e trovare un modo intelligente è troppo difficile) scopriamo che Mr Gopnik ha fatto una vasectomia e Agnes lo sapeva, perché non volevano figli.

Quindi se sua moglie ha ritenuto necessario fare un test di gravidanza per forza non era stata solo con suo marito, altrimenti sapeva che non era possibile o che comunque avrebbe potuto parlarne tranquillamente con lui, ogni tanto le vasectomie non funzionano, poteva essere quello il caso e lei non avrebbe avuto alcuna colpa.

Non potevano incolparla di volerlo incastrare con un bambino per poi chiedere il divorzio, la vasectomia l’aveva fatta lui. Non è come dire di prendere la pillola e non farlo o bucare i preservativi… quindi fare e poi nascondere il test non ha senso, senza un tradimento.

Ancora una volta pensiamo al pittore.

Si viene a sapere che Agnes stava davvero facendo un dipinto e e che non ci era mai andata a letto, ma il dipinto svelava un altro segreto.

Dopo questa rivelazione, capiamo, quindi, che non ha senso che lei abbia dovuto fare il test di gravidanza e nasconderlo soprattutto e che serviva solo per dare un po’ di movimento alla trama e portarci fuori pista.


All’inizio del romanzo, Louisa parla di prendersi cura delle persone come se fosse il sogno della sua vita e che finalmente era tornata a farlo.

Non c’è niente di male, se a qualcuno piace quel genere di lavoro, peccato che Louisa non ne abbia mai parlato in questi termini e dalle sue azioni si vede che non è vero.

Altro spoiler

Louisa è felice solo quando inizia a lavorare davvero nel settore che ama, la moda.

Può farlo grazie ad una signora anziana, che le dona tutti i suoi vestiti d’epoca da miliardi di dollari e le dice anche come potrebbe usarli…

Scusate il mio cinismo, ma quante volte una persona schifosamente ricca decide di regalarti del denaro o generi di valore in punto di morte?

No, perché in tre anni a Louisa è già successo due volte… ripeto mamma mia questa storia è così realistica che mi commuove! (Sarcasmo, ovviamente).

Come si fa a non arrabbiarsi?

Ok, Louisa è buona e gentile e grazie al suo essere sempre pronta ad aiutare gli altri, un po’ di bontà le torna indietro, ma santo cielo, nemmeno a Cenerentola è capitata due volte la stessa fortuna.

Senza contare che così sembra che Louisa da sola non è buona a niente. La sua vita prosegue solo quando sono gli altri a spingerla, sempre.

Questa storia si poteva concludere con il finale aperto del primo libro, non c’era bisogno di continuare, ma se decidi comunque di andare avanti, almeno cerca di fare qualcosa di originale.

Non puoi riprendere i pezzi precedenti, mescolarli e cambiarli un pochino. O cambiare la realtà per adeguarla alla trama (parole dell’autrice nei ringraziamenti), non funziona così.

In conclusione

Speriamo sia finita.

Può continuare fino alla morte di Louisa, visto che ci racconta praticamente il nulla cosmico.

Questo libro è l’apoteosi dell’inutilità e del nonsense. (La prima volta che ho pensato questa frase le ultime parole erano molto più volgari).

Il costo di questo libro, di circa venti euro, è spropositato rispetto alla trama e allo stile narrativo, non ne vale la pena.

Almeno in Dopo di te un lato positivo l’avevo trovato, una tematica trattate discretamente e che poteva essere interessante c’era. Qui nemmeno quello, ci ha provato, ma non è gestita nel migliore dei modi e si vede che non frega niente a lei per prima.

Ad ogni libro si peggiora, ragazzi.

Ci sarebbero tantissime scene di cui discutere perché non hanno il minimo senso. Non so dire nemmeno se facciano ridere o meno, ma sono abbastanza convinta che, anche se si ridesse, sarebbe solo per non piangere disperatamente. In ogni caso, direi che questo articolo sia già troppo lungo, quindi ci fermiamo qui.

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Alle.


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Informazioni su Alle

Ciao, mi chiamo Allegra. Leggo da quando ho memoria, anche se, devo ammettere che inizialmente guardavo solo le figure. Alcuni anni fa ho creato Libri, Sogni e Realtà, un blog in cui parlare di libri, film e serie tv, principalmente che non mi sono piaciuti e in cui mostro le differenze di molte trasposizioni cinematografiche. Da pochi mesi ho aperto anche un canale Youtube in cui affronto argomenti simili.
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